Saranno le Olimpiadi, saranno i ricordi che luccicano di più in tempo di pandemia, ma davvero, Giappone, che voglia di te!
 
E’ un paese che prima ti fa curiosità: ti ritrovi a fotografare water superaccessoriati, a sbattere le palpebre incredula davanti ad un laghetto di pietra che sembra vero, a curiosare in una libreria e scoprire tra i manga l’ingresso di un settore a luci rosse. In effetti tutto ha un lato oscuro, l’altra faccia della medaglia rispetto alla calma e all’autocontrollo.
Rivedo le foto di quei giardini perfetti e ripenso alla sensazione di sentirmi avvolta dalla natura; se non che ripenso alla giardiniera che era in ginocchio accanto all’argine del corso d’acqua a strappare i fili d’erba tra i muschi e raccogliere le foglie cadute: quante mani silenziose hanno lavorato per rendere il bello così naturale.

Rivivo l’impressione fortissima di desolazione e morte della cupola di Hiroshima, accompagnata dall’esplosione di verde, di vita e di speranza dell’intero parco intorno a quello scheletro.

Insomma, mano a mano che conosci il Giappone, dopo la curiosità, viene l’ammirazione.

Immagina:
siamo un gruppo di turisti, è sera, entriamo nella sala da the della ryokan, ci mettiamo seduti in cerchio e la maestra della cerimonia ci spiega questo rituale. Ha una voce dal tono suadente e deciso, un inglese impeccabile e ammaliante, movimenti accordati ad una dolce melodia che non c’è, ma la sento: è una geisha? Chissà?! In ogni caso ha delle qualità che vorrei mie.
 
E quindi, è fatta, il Giappone mi ha conquistato; allora subentra la nostalgia, perché il fascino non è sempre riproducibile.
 
Prendiamo l’onsen. E’ speciale anche in un hotel di catena internazionale: avvolta nella yucata trovata in camera, percorro il corridoio che porta allo spogliatoio, accompagnata dalla musica del vento (è artificiale, ma non sembra) e dalle immagini di fitto bambù alle pareti, e poi, senza filtri, in acqua, sotto le stelle, io e pochi altri occhi dal taglio orientale che non si incrociano se non per un timido sorriso; un momento semplice e perfetto.

Contro la nostalgia non mi resta che godermi tra le tante medaglie olimpiche guadagnate dagli italiani, quella che mi piace di più: le Farfalle della ritmica italiana e aggiungerei nello specifico marchigiana. Un movimento elastico e aggraziato, fatto all’unisono, così che tu vedi la leggerezza del bello e non lo sforzo del volo; non vi sembra in assoluto accordo con la lezione del Giappone sulla bellezza?
Se il Giappone chiama, l’Italia risponde.
 
Erika